Venir bene, venir male

Venir bene, venir male

Da “Il Gazzettino” del 30/07/2001

Una ragazza di 19 anni mi chiede se è vero quello che sente dire a volte dai suoi coetanei, maschi e  femmine, e cioè che si può “venire bene o venire male”, intendendo per “venire”, l’orgasmo.

Rispondo dicendo intanto che, a parte il linguaggio dei giovani, che a volte è un gergo anche molto simpatico, diretto, simbolico, per “venire” si dovrebbe intendere l’eiaculazione, il venire fuori, che è solo dell’uomo e non della donna. Ma l’importante è intendersi:  nel linguaggio comune, non scientifico, si vuol significare l’orgasmo che sia per l’uomo che per la donna è la sensazione del massimo piacere. Sembrerebbe che una sensazione di “massimo piacere” debba sempre e comunque essere un “venire bene”. Ma, dato che i linguaggi, specie i gergali specifici o dialettali sono sì magari imprecisi scientificamente, ma esprimono sempre qualcosa, cerchiamo di farlo.

Evidentemente, col termine “venire male” si intende una sensazione “solo in parte” piacevole: magari solo fisica, come risposta ad uno stimolo, per fare un esempio come uno starnuto che avviene ed è anche liberatorio e quindi in parte piacevole, se qualcosa stimola la mucosa nasale; oppure, sempre piacevole e liberatoria ma meno di altre volte sia con lo stesso partner o in paragone ad altri partner; oppure una sensazione piacevole anche, ma minore delle aspettative o dei miti che alcuni si fanno sull’orgasmo.

Quindi, riflettendoci, non è solo importante finire o “venire”. Questo sarà importante, anzi indispensabile per procreare, ma il versante del “piacere” coinvolge sia il corpo con le sue reazioni, sia la psiche con la sua intensità passionale, ed appagamento finale. Ed è questo  l’orgasmo, il “venire bene”.